Come ricorda Leonardo Becchetti, il 2023 è stato un annus orribilis per la pace, violentato da guerre e orrori che l’umanità contava di aver superato in termini di modalità per risolvere i conflitti tra popoli.
Evidentemente la logica “perdente e primitiva” del conflitto armato trova ancora credito in un sistema mondiale caratterizzato da un confronto estremo basato sulla disuguaglianza. I “forti contro deboli” sembra essere la scelta a tutti i livelli, dal neoliberismo predatorio dell’economia globale alle misure governative di molti paesi filo-conservatori fino a spingersi verso forme di neocolonialismo e dominio di territori e risorse.
L’analisi contenuta nell’articolo di Avvenire del 9 gennaio u.s. richiama correttamente alla dimostrazione storica per cui, deposte le armi e favorita la pace, i popoli sono invece in grado di attuare una straordinaria evoluzione dello stato di benessere collettivo basato sulla cooperazione e la mediazione.
È importante il richiamo finale all’umiltà, rispetto e solidarietà come atteggiamenti chiave per superare lo stallo e condurre verso una educazione alla pace quale logica “vincente e moderna”.
Da Avvenire.it del 09/01/2024 – di Leonardo Becchetti
Il 2023 è stato l’annus horribilis delle guerre. Dobbiamo augurarci che il 2024 sia un anno completamente diverso, impegnandoci in questa direzione. A partire dal comprendere che quella della guerra è una logica perdente e primitiva anche sul fronte puramente economico. La guerra ci fa entrare infatti nella logica del conflitto per un bene scarso, una torta fissa (terra, materie prime) che può essere o “mia” o “tua” e che dobbiamo combattere per conquistare. L’operazione della logica bellica è il “contro”: un “uno contro uno” che fa sempre meno di due, e distrugge progressivamente quel valore per cui combattiamo con costi umani, sociali ed economici enormi. La storia dell’umanità indica come la prosperità economica corra invece su binari completamente diversi dove la logica della cooperazione e dell’innovazione suggeriscono che le torte non hanno dimensione fissa, ma possono crescere significativamente se le costruiamo insieme cooperando e innovando.
L’operazione della cooperazione e dell’innovazione è il “con”, dove “uno con uno” fa sempre più di due, generando quella che in termini tecnici chiamiamo superadditività. Un esempio lampante arriva dalla storia europea, dove un passato di guerre sanguinose tra francesi e tedeschi per il controllo di risorse minerarie si trasforma, dopo la Seconda guerra mondiale, nella Comunità del Carbone e dell’Acciaio, l’embrione dell’Unione Europea e della nostra prosperità. Perché israeliani e palestinesi non hanno lanciato l’idea di una Comunità Mediorentale per la Pace e la Prosperità 70 anni fa?
Sono ancora in tempo per farlo? In termini più ampi, tutta la logica del commercio internazionale, a partire dalla scoperta dei vantaggi comparati di David Ricardo, si inserisce in questa logica virtuosa. la strada della globalizzazione e della cooperazione multilaterale che abbiamo scelto sinora. Ed è l’unica strada di cui disponiamo per risolvere il problema della transizione ecologica, percorso che richiede lo sforzo congiunto di tutti, ma che ora gli amanti del Risiko mettono in discussione preferendo la cornice del conflitto con la Cina. L’errore fondamentale che si compie quando si entra nella logica perdente della guerra è pertanto ritenere essenziale la contesa per alcune materie prime o strategiche e ignorare come il successo economico dei popoli non si giochi sul loro controllo, ma sulla capacità di creare valore aggiunto. Italia e Corea del Sud sono due Paesi pressoché privi di materie prime che hanno segnato i maggiori successi economici dopo la Seconda guerra mondiale, mentre la famosa teoria della “maledizione delle risorse naturali” illustra come nazioni dotate di grandi risorse naturali siano state dilaniate da guerre civili per la contesa delle stesse, in Africa soprattutto.
Anche quando sono riuscite a sfruttarle, hanno seriamente rischiato di ricadere nella dipendenza da una rendita che ha frenato innovazione e diversificazione. Se tutto questo è vero perché si fanno le guerre? Fondamentalmente perché i pochi potenti che le scatenano non coincidono con le moltitudini che le combattono e le subiscono. Una volta che la guerra è stata scatenata, la logica del conflitto persiste anche per colpa dei nostri modelli di comunicazione. L’economia comportamentale insegna che gli esseri umani non hanno preferenze costanti, ma sono fortemente influenzati dalle condizioni di cornice (frame) dei contesti in cui operano.
Famoso il caso dello stesso esperimento realizzato con due titoli diversi, Gioco della cooperazione e Gioco di Wall Street: nel primo caso la logica della cooperazione e della superadditività ha nettamente prevalso, creando più valore. Per questo non ce la faremo a uscire da questo “frame” che ci spinge a schierarci e a esibire reazioni muscolari se continueremo a sottolineare solo le efferatezze dell’altro e a non riflettere sui nostri errori. Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, l’errore strategico dell’Occidente è stato quello di pensare che la soluzione di una vittoria completa sul campo tra armi e sanzioni fosse a portata di mano. I nostri padri, con la saggezza che proveniva dall’esperienza terribile della Seconda guerra mondiale conclusasi con le catastrofi nucleari di Hiroshima e Nagasaki, avevano scelto una via differente: la deterrenza che minimizza gli spargimenti di sangue e riduce il rischio di disastro nucleare.
Si è così arrivati alla più grande “vittoria” dell’Occidente: la caduta del muro di Berlino, attraendo e non conquistando militarmente i Paesi dell’Est Europa che ora sono saldamente nel blocco occidentale. L’errore della risposta israeliana all’orribile strage del 7 ottobre ha una matrice simile: pensare di poter “estirpare” completamente il pericolo di Hamas con una guerra è una scelta dolorosissima in termini di perdite di vite umane ed è rischiosa perché il gran numero di civili uccisi rischia di essere una campagna di arruolamento di nuovi avversari dello Stato ebraico in molte parti del mondo. In entrambi i casi, una risposta razionale dovrebbe a questo punto dovrebbe essere quella della “de-escalation”: entrare cioè in una logica di mediazione e negoziato per una soluzione cooperativa.
A costruire la pace nel 2024 dobbiamo in ogni caso iniziare noi, “opinioni pubbliche” occidentali: appena entriamo nella logica delle bandierine, degli schieramenti che molti adottano sui social, non facciamo che replicare lo schema della guerra nei nostri dibattiti. Uno schema dove non esistono sfumature, riflessioni che aiutano a trovare un punto d’incontro mettendosi nei panni dell’altro, ma solo duelli tra fazioni contrapposte. Bruno Forte nell’ultimo editoriale di fine anno su queste colonne ha parlato di umiltà, rispetto e solidarietà come atteggiamenti chiave per superare lo stallo. Ed è proprio da qui che dobbiamo ripartire.
L’articolo originale a questo link su Avvenire.it