Entrare nel paradigma della complessità

Entrare nel paradigma della complessità


di Francesco Bellusci

Il Covid è stata la prova che l’inatteso tende a essere un elemento centrale di cui tenere conto nell’ era planetaria e mondializzata nella quale viviamo. L’ abuso degli ecosistemi, la mancanza di rispetto delle altre specie, della natura e del suo equilibrio apre veri vasi di Pandora, da cui provengono numerosi mali inaspettati. Come vivere ed educare nel tempo dell’incertezza? Rispondere a questa domanda è fondamentale per ripensare le pratiche e le rappresentazioni che sostengono le nostre pratiche educative, che tendono a valorizzare la trasmissione dei saperi stabiliti e cristallizzati e a sviluppare competenze centrate su ciò che è prevedibile. Tuttavia, il presente e l’avvenire sono costantemente sfidati dall’ inatteso e dall’ imprevisto. C’ è bisogno di promuovere un processo educativo centrato sull’ idea di un cammino nel quale si può essere sorpresi dall’ inatteso. Sviluppare la capacità di riflettere sull’ impatto del massimamente improbabile, a un tempo nella vita personale e nella società è una competenza fondamentale.

Ma questo cammino, benché segnato dall’ irruzione imprevedibile di Cigni neri, è un cammino che può essere intrapreso con la fiducia nel progresso: un’altra idea della modernità. MA QUALE IDEA DI PROGRESSO? L’ idea di progresso, come è stata formulata a partire da Condorcet, è stata concepita come una legge storica, meccanica del divenire umano. Sul piano morale, si è rivelata falsa. MA ANCHE SUL PIANO ECONOMICO E POLITICO E SOCIALE, spesso un “progresso” si è rovesciato in un “regresso”. Il progresso scientifico e tecnico non si è tradotto automaticamente in progresso umanitario, come pensava l’Illuminismo. Ma l’idea di progresso non deve essere abbandonata.

Ciò che bisogna abbandonare è il determinismo del progresso, ciò che bisogna conservare è la possibilità di progresso.

Il concetto di progresso è, per certi versi, preferibile anche a quello di “sviluppo sostenibile”, perché “sviluppo” anche nella sua forma edulcorata di “sostenibile” contiene ancora quel nucleo cieco tecno-economico per il quale ogni progresso umano deriva dalla crescita materiale. Se questo concetto di sviluppo e la sua applicazione nel mondo ha provocato distruzione di agenzie tradizionali di solidarietà, sottosviluppo morale, corruzione, individualismo egoistico, a un nuovo concetto di progresso dobbiamo legare, per converso, l’idea di un futuro di coesione planetaria, di resilienza nella vulnerabilità e di convivenza multiculturale.

Quest’orizzonte lo possiamo definire col termine onnicomprensivo di “umanesimo planetario”, una solidarietà degli uomini nel e per il pianeta.

Per concludere, educare alla complessità è la sfida educativa del XXI secolo.

Educare alla complessità significa educare all’era planetaria, all’avvenire della Terra e alla sostenibilità, alla comunità di destino terrestre che ci toccherà sempre più abitare. Significa prendere congedo da un ciclo della modernità, imperniato sul paradigma della semplificazione e del riduzionismo, su una razionalità solo strumentale, del dominio e del controllo, e prepararsi ad entrare in un nuovo paradigma, senza indietreggiare di fronte a esso, il paradigma della complessità. Significa, cioè passare da una “modernità razionalista” a una “modernità umanizzata”. La modernità è il nostro passato ma anche il nostro futuro, a condizione di saperlo immaginare diversamente e cioè nell’orizzonte di un umanesimo planetario.

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