Col precipitare della crisi in Afghanistan, l’ONU ha evidenziato il pericolo di rappresaglia che artisti e intellettuali stanno correndo. Si è riproposto in tutta la sua crudezza lo scontro tra iconofilia e iconoclastia che va avanti da millenni. Una volta occupata Kabul, sono stati cancellati i volti femminili dai cartelloni pubblicitari della città, è stato imposto il silenzio e sono cominciate le epurazioni. Se ben ricordate, sei mesi prima dell’attentato alle Torri Gemelle, furono distrutte le statue dei Buddah Bamiyan. Sembra quasi di poter rilevare un crescendo, dove prima vengono colpite le immagini, e poi i corpi veri.
Come dare una spiegazione accettabile, dal nostro punto di vista di studiosi dell’arte, alla dicotomia irriducibile tra iconoclastia e iconofilia?
Tutto sembra ruotare intorno a una diversa idea di corpo e della sua rappresentazione. Del resto, mille anni fa, il matematico arabo Alhazen visse sulla propria pelle il conflitto tra costrizione religiosa e ricerca scientifica. Fu lui a inventare il concetto di perspectiva e a progettare la camera oscura. Ma occorreranno 500 anni affinché il Rinascimento adotti la prospettiva e quasi 900 affinché in Occidente sia costruita la macchina fotografica. Segno che le invenzioni cadono sempre in un contesto culturale e simbolico che ne condiziona lo sviluppo.
In Europa, da cento anni, si registra un’evoluzione in campo artistico che libera l’arte dal suo antico scopo rappresentativo e predilige l’evento. Se guardiamo oltre l’immagine, troviamo la teoria futurista dell’evento. E con essa, la nascita di un nuovo valore: la profondità dell’esperienza emotiva e cognitiva di ognuno di noi. Un valore che preannuncia la possibilità reale di integrazione tra le persone, attraverso l’arte e la conoscenza.
E’ possibile, con la teoria dell’evento, costruire un ponte tra Occidente e Oriente? Io credo di si, e credo che i protagonisti della formazione artistica, in tutte le declinazioni possibili, potranno essere i costruttori di questo ponte. A riprova di ciò, mentre si acuiva la crisi afgana, il mondo dell’arte si è unito e ha proposto una sinergia tra le istituzioni AFAM, Comune di Roma e i più importanti musei e fondazioni della città mettendo a disposizione degli esuli spazi, borse di studio degli studenti e contratti per i professori.
Tramite l’arte, le modalità di accoglienza e integrazione si attueranno in tempi rapidi e con effetti più profondi. E Roma, dove si intrecciano epoche, pensieri e visioni del mondo, costituirà il terreno ideale su cui fondare la via per l’integrazione. Ciò porterà Roma ad assumere una leadership in campo culturale e umanitario senza precedenti, permettendole di riappropriarsi del titolo di Caput Mundi non più su base militare, ma sulla base dell’Arte.
Miriam Mirolla