Pensare insieme la complessità

Pensare insieme la complessità


di Agostino Marottoli – 19/02/2024

Il filo logico che conduce gli studi di Pensare Insieme è riconducibile all’approfondimento e comprensione dell’inquietudine che affligge la civiltà contemporanea, sintomo dei malesseri comuni e delle polarizzazioni nelle posizioni sociali e politiche, delle diverse visioni sull’economia e sullo sviluppo umano. Questa inquietudine è segnata dal susseguirsi di crisi di diversa natura, che sia ecologica o geopolitica o sanitaria poco importa, l’effetto è sempre quello di mettere in discussione le credenze consolidate che hanno mosso l’epoca della modernità che stiamo vivendo e di porre dubbi mai emersi sulla fede nel progresso, sull’infallibilità della scienza e della tecnica, sulla capacità delle istituzioni di soddisfare i bisogni di cittadinanza finanche quelli di sicurezza e di regolazione.

Viviamo in un sistema in cui il comune processo di semplificazione mainstream a cui tutti tendono è inversamente proporzionale alla complessità del sistema in cui viviamo. Le interazioni tra gli attori del sistema generano e aggiungono elementi di complessità inediti, sempre più difficili da gestire e sempre più ad appannaggio dei processi di manipolazione post-truth da parte dei player politici, economici e della comunicazione. Eppure viviamo il momento storico in cui, parafrasando Gramsci, il vecchio è morto e il nuovo tarda a nascere: questo è il chiaroscuro che genera il mostro dell’inquietudine.

Spesso non c’è la capacità o la volontà di soffermarsi su questi aspetti. Presi da una quotidianità parcellizzata dall’eterno rincorrere il tempo e dai compiti che ci ha assegnato la società delle funzioni, ci si difende ignorandoli, con l’idea di appartenere ad un destino ineluttabile. Le persone, coinvolte in un eterno presentismo, non hanno le energie necessarie per interrogarsi sull’umano e per porre l’umano a oggetto della riflessione e del discorso, per interrogarsi sulla condizione umana e il suo divenire. Si finisce a diventare nemici del futuro aperto e indeterminato, a diventare “quelli che lo pensano senza prendere sul serio la complessità, quelli che lo manipolano in maniera irriflessa (o perché lo comprendono come una semplice continuità o perché lo ipotecano in maniera irresponsabile), quelli che lo pianificano senza rispettare la sua opacità così come, per converso, quelli che si abbandonano confortevolmente a un supposto movimento naturale delle cose” (Ceruti, Bellusci, Umanizzare la modernità, p.23).

Un’inchiesta di Nando Pagnoncelli apparsa sul Corriere della Sera del 2 gennaio scorso, conferma la stanchezza e rassegnazione degli italiani a fronte della generalizzata condizione di inquietudine e fa emergere la sensazione di sfiducia nelle istituzioni e nell’evoluzione sociale considerati ormai incapaci di produrre le trasformazioni necessarie al cambiamento dello status quo, al punto di mettere in discussione alcuni ideali normativi dell’evoluzione umana quali la sicurezza, la libertà e la dignità.

La direzione deriva dal mutamento del rapporto tra Umano, Terra e Progresso. Se da un lato il progresso, con una visione opportunisticamente manipolata dall’economia capitalistica – e ancor di più da quella neoliberista – ha fallito la promessa che tutto ciò che deve ancora arrivare sarà senz’altro meglio di ciò che già è, dall’altro ha sincronizzato l’umanità alle crisi globali, rendendola di fatto solidale nella vulnerabilità anziché nella felicità e nel benessere. Inoltre, di fronte alle crisi ambientali, climatiche e all’esaurimento delle risorse, ha aperto all’ipotesi, per la prima volta nella storia conosciuta, di ipotizzare l’estinzione del genere umano. Usando le parole di Mauro Ceruti riferendosi all’Uomo inglobato nel gioco della Vita e della Terra, “di non essere solo giocatore, ma anche giocato”. (Ceruti, Bellusci, Umanizzare la modernità, p.30).

Ecco allora l’urgenza del cosiddetto “pensiero istituente” all’altezza di ordinare, in modo inedito e incessante e con nuove istituzioni (ibidem) la normativa sociale dell’epoca che sostituirà la modernità. In tal senso, l’opera intellettuale di chi contribuisce all’esplorazione del “non ancora conscio” e all’immaginazione del “non ancora divenuto” (Bloch, Il principio speranza, 1994) è di fondamentale importanza per il superamento sia dell’incertezza propria della “liquidità” sociale che dell’inquietudine e crisi che ne derivano.

Partecipare al dialogo, comprendere le interdipendenze, elaborare ipotesi e instillare dubbi – in altre parole “the art of thinking together” – sono pratiche intellettuali che contribuiscono alla formazione del pensiero istituente e creano un metodo di elaborazione della complessità facendo perdere, nel contempo, potere al mainstream sociale, economico e politico più rivolto ad alimentare la “società mondiale del rischio” di Ulrich Beck che a tracciare il profilo di un nuovo contesto sociale.

Da queste considerazioni, “Pensare Insieme” promuove l’invito a raccogliere la sfida della complessità e a partecipare attivamente al dialogo, a diventare “pensatori” attivi, umani ancor prima che cittadini, abitanti del pianeta ancor prima che italiani. Il 28 febbraio prossimo lo faremo dal punto di vista dell’economia, a marzo da quello della filosofia e sociologia, ad aprile da quello dello stile di vita e lavoro, a maggio da quello della sostenibilità, a giugno da quello della pace e così via…

Per concludere, vale la pena riprendere dal libro “Umanizzare la modernità” di Mauro Ceruti e Francesco Bellusci (in studio nel mese di marzo ndr) la citazione a Henri Bergson: “L’umanità geme, semischiacciata sotto il peso del progresso che lei ha costruito. Non sa abbastanza che il suo futuro dipende da lei. A lei di vedere prima di tutto se vuole continuare a vivere. A lei di domandarsi in seguito se vuole vivere soltanto o fornire inoltre lo sforzo necessario perché si compia, persino sul pianeta refrattario, la funzione essenziale dell’universo, che è una macchina per fare degli dèi”.

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